PALAZZO CHIABLESE

Piazza San Giovanni 2
10122 – Torino

  • Orari di apertura: dal lunedì al venerdì ore 14,30/17,30
    (chiuso il sabato, la domenica e i giorni festivi perchè il palazzo è sede della SABAP-TO e SR-PIE)
  • Prenotazione obbligatoria ai contatti APR: e-mail APR:  palazzochiablese@amicipalazzoreale.it oppure cell. APR:  +39 344 1929643
  • Ingresso gratuito
  • Gradita offerta libera pro interventi di restauro arredi di Palazzo Chiablese

Il palazzo Chiablese, con la sua mole severa, chiude sul lato occidentale la piazzetta antistante il palazzo Reale e si protrae fino alla chiesa di San Lorenzo, capolavoro di Guarino Guarini (1668-1687). Dal 1960, anno in cui si sono conclusi i restauri dopo i danni bellici, l’edificio è stato la sede della Soprintendenza ai Monumenti e della Soprintendenza Archeologica del Piemonte e oggi ospita gli istituti del Ministero della Cultura, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino e il Segretariato Regionale del MiC per il Piemonte.

Tra Cinque e Seicento

Il palazzo è eretto, molto probabilmente riplasmando preesistenti edifici medievali, alla fine del XVI secolo, quando Emanuele Filiberto di Savoia ha voluto rinnovare la piazza davanti alle residenze ducali – il palazzo Ducale (poi Reale) e il Castello (poi palazzo Madama) – commissionando il riordino urbanistico degli spazi e degli edifici all’architetto Ascanio Vittozzi, autore anche del progetto per la nuova Cittadella di Torino. I primi proprietari del palazzo sono Beatrice Langosco di Stroppiana e il marito Francesco Martinengo di Malpaga che lo ricevono ricevuto in dono dallo stesso duca. 
Rientrato in possesso dei Savoia all’inizio del XVII secolo, l’edificio ospita, nel 1600-1601, il cardinale Pietro Aldobrandini, quando fu invitato a Torino dal pontefice Clemente VII presso Carlo Emanuele I per comporre le discordie tra il Ducato sabaudo e la Francia in ordine al possesso del Marchesato di Saluzzo; nel 1608, il prelato ritorna nel palazzo per presenziare ai matrimoni delle figlie del duca, Margherita e Isabella di Savoia con Francesco IV Gonzaga e con Alfonso III d’Este. 
Nel 1642, l’edificio è assegnato come residenza torinese al cardinale Maurizio di Savoia; questi, per chiudere con il ‘Patto di Famiglia’ la guerra civile che, insieme con il fratello Tommaso, principe di Carignano, lo ha contrapposto alla cognata reggente, Maria Cristina di Francia, lascia la porpora e sposa la nipote Maria Ludovica Cristina, figlia di Vittorio Amedeo I. I due principi, quando si trovano nella capitale, preferiscono però abitare la ‘Vigna’ in collina (l’odierna Villa della Regina). Nel 1692, alla morte di Maria Ludovica Cristina, il palazzo accoglie alcuni appartamenti a servizio della corte reale.
Poche sono le tracce sopravvissute di questa fase dell’edificio: sono da identificare nella breve porzione di loggiato, con archi sorretti da colonne tuscaniche, nel secondo cortile verso la chiesa di San Lorenzo, e in alcuni ambienti di servizio con soffitti lignei privi di decorazioni.

Restaurato e riallestito, riapre alle visite in modo stabile grazie al supporto dell’Associazione Amici di Palazzo Reale, con un percorso che si snoda lungo le sale da parata e da residenza e si conclude in alcuni ambienti ancora in corso di restauro.


L’allestimento si avvale di arredi originari (tra cui l’eccezionale scrivania a ribalta di Pietro Piffetti recuperata dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale nel 2018), in parte ritrovati in storici depositi e si arricchisce grazie alla disponibilità della Fondazione Accorsi-Ometto che ha concesso in deposito alcuni pezzi delle loro collezioni di riserva. Sono inoltre presentate alcune recenti acquisizioni legate all’attività territoriale di tutela: due sovrapporte di Vittorio Amedeo Cignaroli con scene di caccia ed una pala d’altare, raffigurante l’Annunciazione e attribuita a Marcantonio Franceschini, proveniente dalla cappella del castello di Pomaro Monferrato; quest’ultima viene riproposta a suggerire l’oratorio privato del Duca, insieme con un altare ligneo settecentesco di collezione privata torinese, concesso in comodato al palazzo Chiablese.

Il Settecento: Benedetto Maurizio, duca del Chiablese

Nel 1753, Carlo Emanuele III destina il palazzo al figlio Benedetto Maurizio di Savoia, duca del Chiablese, natogli dalla terza moglie, Elisabetta di Lorena: in quegli anni, il sovrano progettava per l’amatissimo secondogenito un matrimonio con una principessa Asburgo-Lorena e la creazione di uno stato indipendente da ricavare nei feudi imperiali dell’Italia settentrionale o dell’Austria meridionale. L’incarico di rinnovare ed estendere gli appartamenti è affidato a Benedetto Alfieri, che aveva ereditato da Filippo Juvarra il ruolo di architetto di corte, proseguendone i cantieri nelle residenze dinastiche. L’intervento alfieriano che ha comportato la parziale demolizione e la sopraelevazione dell’edificio preesistente, ha conferito all’edificio l’aspetto attuale, tanto negli esterni quanto negli interni, anche se i progetti sono rimasti in parte incompiuti. Attraverso un portone monumentale aperto sulla sobria facciata in laterizio verso il duomo, si accede a un atrio porticato con colonne, pilastri in pietra e volte a crociera e, di qui, ai due cortili interni, divisi da una manica centrale (1761). Il portico tra la piazza San Giovanni e la piazzetta Reale e la soprastante galleria al piano nobile raccordano l’edificio al palazzo Reale, con il quale condivide un muro perimetrale.

Un maestoso scalone in marmo (1753-1754) conduce agli appartamenti aulici: due campagne decorative – una risalente al 1756-1758, l’altra al 1760-1764 – interessano le sale affacciate verso la piazzetta Reale, che sono organizzate in una doppia enfilade, funzionale alle esigenze cerimoniali. Alfieri dirige anche la decorazione a stucchi dorati degli ambienti, che si accompagna a una boiseries e a un arredo di grande raffinatezza, eseguiti secondo modelli di gusto filo-francese, dalle équipes di plasticatori (Bartolomeo Papa, Angelo Maria Somasso, Enrico Bitli, Giuseppe Bolina, Giovanni Battista Sanbartolomeo), di intagliatori (Giovanni Battista Bolgiè, Giovanni Antonio Riva, Antonio Gritella) e indoratori (Bartolomeo Monticelli) già attivi per i cantieri reali.

Anche la decorazione pittorica, concentrata soprattutto nelle grandi sovrapporte, vede nelle sale del palazzo Chiablese la presenza di alcuni fra i principali protagonisti della cultura figurativa alla corte di Torino in quegli anni: troviamo qui, infatti, tanto i più affermati pittori locali (Michele Antonio Rapous, Mattia Franceschini, Claudio Francesco Beaumont, Vittorio Amedeo Cignaroli), quanto le più prestigiose personalità forestiere che rappresentano bene gli indirizzi di gusto della committenza sabauda: il romano Gregorio Guglielmi, il napoletano Francesco De Mura, il veneto Giovanni Battista Crosato.

La ricchezza e l’importanza dell’arredo è infine suggellata sia dalle opere dell’ebanista Pietro Piffetti, documentate fra il 1759 e il 1767-1768 (sopravvive il doppio corpo, oggi nella sala dell’Alcova), sia dall’inserimento di uno tra i pezzi più preziosi delle guardarobe reali: si tratta della serie di arazzi con le Storie di Artemisia, tessuta a Parigi nella manifattura dei Gobelins ed acquistata nel 1620 dall’ambasciatore sabaudo per conto di Vittorio Amedeo I.

Le ambizioni dinastiche di Benedetto Maurizio subiscono un secco ridimensionamento per l’opposizione dell’imperatrice Maria Teresa al suo matrimonio asburgico e così, il principe che, dopo l’ascesa al trono del fratello primogenito Vittorio Amedeo III nel 1773, ha ormai un ruolo secondario nella corte, finirà per sposare la giovane nipote, Maria Anna di Savoia nel 1775. Con la caduta dell’Ancien Régime e l’arrivo delle truppe rivoluzionarie, i duchi di Chiablese sono costretti ad abbandonare Torino nel 1798 per rifugiarsi prima in Sardegna e poi a Roma, dove Benedetto Maurizio muore nel 1808.

Tra Napoleone e l’Unità d’Italia

Con l’occupazione francese di Torino, il palazzo Chiablese, come altre residenze sabaude, è messo a disposizione di Napoleone Buonaparte e della famiglia imperiale: dopo essere stato la sede per gli uffici della “Commissione esecutiva” formata da Carlo Botta, Carlo Bossi e Carlo Giuli (“il governo dei tre Carli”), l’edificio ospita (1808-1814) il governatore generale dei dipartimenti transalpini, il principe Camillo Borghese, insieme con la moglie, Paolina Buonaparte, la sorella dell’imperatore. A questo momento risale la decorazione di alcuni ambienti nella manica tra i due cortili, contraddistinta da un linguaggio ancora improntato al classicismo tardo settecentesco.

Nel 1814, con la dissoluzione dell’impero francese, l’edificio ritorna in possesso della duchessa vedova del Chiablese che, nel 1824, lo lascia in eredità al fratello Carlo Felice, salito al trono nel 1821. Il nuovo sovrano, quando soggiorna a Torino, preferisce questa residenza al contiguo palazzo Reale e qui vi muore nel 1831. Il palazzo passa quindi a Ferdinando di Savoia-Carignano, il secondogenito del re Carlo Alberto che ha il titolo di duca di Genova. In occasione del suo matrimonio con Maria Elisabetta di Sassonia, celebrato nel 1850, le sale sono oggetto di modifiche e di rinnovamenti dell’arredo e delle decorazioni, sotto la direzione di Alfonso Dupuy: in modo particolare la galleria piccola è trasformata nella camera da letto della duchessa. Nel 1851, nell’alcova vi nacque Margherita di Savoia-Genova, la figlia di Ferdinando e Maria Elisabetta, futura prima regina d’Italia.

Il Novecento tra distruzioni e ricostruzioni

Il palazzo Chiablese, abitato dai discendenti di Ferdinando di Savoia-Genova fino al 1940, è oggetto tra XIX e XX secolo di alcuni interventi di aggiornamento funzionale con l’inserimento di una sala da bagno, il rinnovamento impiantistico e la realizzazione di nuovi collegamenti verticali per gli appartamenti di servizio. Le fotografie scattate nelle sale nei primi anni del Novecento ci presentano l’immagine di una sontuosa residenza principesca dove le decorazioni settecentesche convivono con i fastosi mobili eclettici dei duchi di Genova. Questa situazione cambia repentinamente allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando gli eredi di questo ramo della casa reale abbandonano il palazzo, trattenendo con sé gran parte dell’arredo. I bombardamenti anglo-americani che devastano il centro di Torino soprattutto tra il 1943 e il 1944, colpiscono più volte l’edificio con ordigni e spezzoni incendiari, danneggiando così gravemente alcune delle sale monumentali verso la piazzetta Reale e distruggendo l’angolo verso il Seminario Maggiore.

Dopo un lungo lavoro di ricostruzione e di restauro, indirizzato peraltro a rendere il palazzo adatto alla sua nuova funzione di edificio pubblico, sono trasferiti qui gli uffici di due Soprintendenze. In quest’occasione, per arredare le sale di rappresentanza rimaste in gran parte spoglie, sono trasferiti dal castello ducale di Agliè (passato anch’esso dai duchi di Genova al Demanio) alcuni arredi neoclassici e un piccolo nucleo di dipinti: tra questi una parte della bella serie di tele con le Vedute delle località del Piemonte di Angelo Antonio Cignaroli (1790-1820 circa) e la coppia di dipinti raffiguranti l’Arrivo di Carlo Felice e di Maria Cristina di Borbone a Napoli di Salvatore Fergola.

In questi ultimi anni, i restauri progressivamente avviati negli appartamenti monumentali in parallelo con il trasferimento degli uffici in spazi privi d’interesse storico, stanno cercando di ricomporre l’aspetto di fastosa residenza dinastica che aveva palazzo Chiablese fino a un secolo fa, in vista di un percorso museale fruibile dal pubblico.

In una delle sale danneggiata dalle bombe è poi restituita l’immagine degli storici uffici della Soprintendenza, a ricordare l’uso più recente di questa sede.

L’iniziativa della Soprintendenza per la restituzione al pubblico del palazzo ha trovato in città importanti supporti: la Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali ha avviato l’opera dal 2017 promuovendo il restauro dell’oratorio e del gabinetto del Duca; la Fondazione Compagnia di San Paolo, nel quadro della sua importante azione a favore del patrimonio culturale, sostiene il restauro delle sale private e da parata dell’appartamento, promuovendo la competenza del Centro di Conservazione e Restauro La Venaria Reale. Alla riapertura alle visite si affianca un accordo con la Città di Torino, per ospitarvi anche la celebrazione dei matrimoni civili nelle sale di rappresentanza.

Nel 1642, l’edificio è assegnato come residenza torinese al cardinale Maurizio di Savoia; questi, per chiudere con il ‘Patto di Famiglia’ la guerra civile che, insieme con il fratello Tommaso, principe di Carignano, lo ha contrapposto alla cognata reggente, Maria Cristina di Francia, lascia la porpora e sposa la nipote Maria Ludovica Cristina, figlia di Vittorio Amedeo I. I due principi, quando si trovano nella capitale, preferiscono però abitare la ‘Vigna’ in collina (l’odierna Villa della Regina). Nel 1692, alla morte di Maria Ludovica Cristina, il palazzo accoglie alcuni appartamenti a servizio della corte reale. Poche sono le tracce sopravvissute di questa fase dell’edificio: sono da identificare nella breve porzione di loggiato, con archi sorretti da colonne tuscaniche, nel secondo cortile verso la chiesa di San Lorenzo, e in alcuni ambienti di servizio con soffitti lignei privi di decorazioni.

ANDRONE E SCALONE

Il progetto architettonico si deve a Benedetto Alfieri che disegna i pilastri quadrati in serizzo e le colonne doriche: i gradini sono in marmo bianco di Pont Canavese. Le grandi lanterne risalgono al XIX secolo. Al centro della balaustra è la statua in marmo di Carlo Felice nelle vesti di Gran Maestro dell’ordine dell’Annunziata del novarese Antonio Bisetti, allievo e collaboratore di Carlo Finelli: l’opera, commissionata dalla regina Maria Cristina di Borbone dopo la morte del marito, è firmata e datata 1847. Sul pianerottolo, è un busto in bronzo di Ferdinando di Savoia-Genova, già in una delle sale dell’appartamento aulico.

SALONE DEGLI SVIZZERI

È il primo ambiente del percorso cerimoniale di rappresentanza che, come nel palazzo Reale, era destinato alla guardia svizzera. L’ambiente, gravemente danneggiato dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, è stato oggetto di profondi restauri che comportarono, fra l’altro, lo spostamento del camino dalla parete opposta a quella d’origine, l’apertura di nuove porte funzionali agli uffici e il rifacimento di alcune sovrapporte in stucco. Sulle pareti è stata appesa la serie di grandi tele con scene di animali riferite ad Angelo Maria Crivelli detto il Crivellone (primo quarto del XVIII secolo), in origine nel castello di Moncalieri, passate poi a palazzo Reale per arrivare infine qui.

GALLERIA DEL CIGNAROLI

Si tratta di un ambiente moderno, frutto delle trasformazioni postbelliche, dove sono oggi collocate le trentuno vedute di città, residenze reali e luoghi vari del Regno di Sardegna dipinte da Angelo Cignaroli, il figlio del pittore paesaggista Vittorio Amedeo: sono parte di una serie commissionata da Carlo Felice nel 1827 e provengono dal castello di Agliè, dove ne sono conservate altre dieci. Le sovrapporte rappresentanti le quattro Stagioni provengono da altri ambienti del palazzo.

 

CAMERA DELLE GUARDIE DEL CORPO (Prima anticamera o Salone del Carabiniere)

La sala conserva in buona parte l’aspetto sette e ottocentesco: le sovrapporte con Scene di battaglie, inserite in eleganti cornici rocaille, sono eseguite nel 1758 dal pittore e scenografo Francesco Antoniani. Sulla parete grande è collocato, già dal XIX secolo, il cartone con Alessandro Magno sulla tomba di Achille su disegno del pittore di corte Claudio Francesco Beaumont (1740 circa), preparatorio per un arazzo conservato in palazzo Reale e parte della serie con le Storie di Alessandero. La manifattura di Torino, fondata da Carlo Emanuele III nel 1731, produsse sotto la direzione di Beaumont diverse serie di arazzi destinate ad arredare gli appartamenti del re e della regina. Il lampadario e le ventole, riadattate al gas, sono in stile neobarocco. Sulla parete est è il monumentale Ritratto di Carlo Felice di Savoia, raffigurato in abito da cerimonia con il collare della SS. Annunziata: è opera, firmata, del pittore cagliaritano Giovanni Marghinotti (firmato), sulla parete ovest il Ritratto equestre di Ferdinando di Savoia, duca di Genova è firmato e datato 1855 da Felice Cerruti Bauduc.

CAMERA DEI “VALETS A PIED” (Seconda anticamera)

La seconda delle anticamere del duca del Chiablese era destinata agli staffieri (valets à pied). Le sovrapporte e il paracamino con rovine architettoniche furono eseguiti nel 1758 dal bolognese Gaetano Ottani, che fu cantante oltreché pittore e scenografo. I due cartoni per arazzi sono opera della scuola del torinese Claudio Francesco Beaumont, pittore di corte di Carlo Emanuele III dal 1731: i due episodi si riferiscono alla serie con Storie di Annibale, tessuta a partire dal 1750. La collocazione del pezzo in questa sala è registrata già dagli inventari ottocenteschi.

Gli arredi neoclassici, provenienti dai depositi, sono databili al periodo del regno di Carlo Felice (1821- 1831), mentre il busto in marmo raffigurante Carlo Alberto, re di Sardegna (e padre di Ferdinando, duca di Genova), si trovava già in origine nel palazzo.

GALLERIA ALFIERIANA

La galleria a L progettata da Benedetto Alfieri raccorda gli appartamenti del duca del Chiablese al palazzo Reale. Attualmente è arredata con ventole dell’inizio del XIX secolo col monogramma di Carlo Felice: sono qui esposti, un ovale in stucco con Cristo nell’orto di Giovanni Battista Bernero (in deposito dalla Fondazione Accorsi-Ometto), due sovrapporte di Vittorio Amedeo Cignaroli (parte di una serie dispersa già in palazzo Gazzelli ad Asti e recentemente acquistate dallo Stato) e un busto di Giove, copia ottocentesca dello Zeus di Orticoli ritrovato nel corso degli scavi degli anni 1781-1782 nell’omonima località in Umbria, conservato nel Museo Pio Clementino di Roma.

GABINETTO DI TOELETTA

L’ambiente attiguo al “gabinetto de’ ghiacci” era in origine costituito da un “gabinetto da tovaletta” e da una cappella. In occasione del restauro del 2016 sono stati eseguiti sulla volta della cappella alcuni saggi stratigrafici che hanno permesso di scoprire come anche gli stucchi che decorano questo ambiente fossero in origine dorati. Al centro della volta, al di sotto del rosone in stucco attualmente visibile, è presente la colomba dello Spirito Santo, che conferma l’originaria destinazione d’uso della stanza ma è stata dispersa tutta la suppellettile sacra che arredava in origine l’ambiente. È allestita qui una pala d’altare con l’Annuciazione già nella cappella del castello Calvi di Bergolo a Pomaro Monferrato (Alessandria), recentemente acquistata dallo Stato: si tratta di un’opera bolognese già riferita a Marcantonio Franceschini ma molto probabilmente della cerchia di Giovan Gioseffo dal Sole. Lo spazio retrostante, originariamente utilizzato come sacrestia, fu sostituito nel Novecento da un moderno bagno. I duchi di Genova, infatti, hanno trasformato completamente questa parte degli appartamenti: il “gabinetto de’ ghiacci” è diventato la camera da letto del duca, il gabinetto un boudoir e la cappella una guardaroba.

GABINETTO DE’ GHIACCI

Il gabinetto degli specchi era direttamente collegato alla camera da letto di Benedetto Maurizio di Savoia; l’inventario del 1781 descriveva in questo ambiente una scrivania e altri mobili successivamente dispersi. Tutti gli arredi fissi (specchiere, mostre di porta, lambriggi) furono eseguiti intorno al 1760 sotto la regia di Benedetto Alfieri: caratteristica del suo stile è la smaterializzazione delle pareti, ottenuta attraverso l’ampio uso di specchiere (“ghiacci”) che si alternano a sottili e nervose cornici intagliate e dorate. Le sovrapporte sono opera di Vittorio Amedeo Cignaroli e raffigurano scene bibliche entro paesaggi. I due ovali con Rebecca al pozzo e il Ritrovamento di Mosè compaiono in questo ambiente solo a partire dall’inventario del 1811; al loro posto erano originariamente collocati i ritratti di Carlo Emanuele III ed Elisabetta Teresa di Lorena, genitori del duca, probabilmente sostituiti in epoca napoleonica. I mobili oggi visibili in questo gabinetto e nel successivo provengono in gran parte da altre residenze sabaude e sono frutto di riallestimenti dovuti alla Soprintendenza. Il “gabinetto de’ ghiacci” è stata restaurato dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” nel 2016, con il sostegno della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino.

CAMERA DA LETTO DEL DUCA

Utilizzata come camera da letto dal duca del Chiablese, la sala ha mantenuto la stessa funzione al tempi di Carlo Felice, che morì in questa stanza il 27 aprile 1831; l’episodio è raffigurato in una tela di Luigi Bisi conservata al castello di Racconigi che costituisce la più antica testimonianza iconografica dell’allestimento interno del palazzo (1848). Al Settecento risalgono gli stucchi, i “lambriggi”, le mostre di porta e le belle sovrapporte con fiori di Michele Antonio Rapous: allo stesso pittore, specializzato in questo tipo di decorazioni e attivissimo nei cantieri reali, si devono con ogni probabilità anche i colorati mazzetti che ornano il “lambriggio” stesso: questo decoro pittorico è stato in parte recuperato nel corso del restauro appena concluso (2020-2021) ed eseguito dal Centro di Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”. La stoffa che riveste le pareti è anche in questo ambiente frutto di un intervento di riallestimento successivo al passaggio del palazzo alla Soprintendenza. Provengono dal castello di Aglié i due dipinti del napoletano Salvatore Fergola raffiguranti, in due momenti diversi, L’arrivo dei sovrani di Sardegna nel porto di Napoli. Firmati e datati 1829, i dipinti furono commissionati dal re di Napoli Francesco I per commemorare il viaggio della sorella Maria Cristina di Borbone e del marito Carlo Felice e della moglie Maria Cristina di Borbone che in quell’anno si erano recati in visita ai loro parenti. Il salotto tardo settecentesco, di gusto francese, è un deposito dalla Fondazione Accorsi-Ometto, mentre appartiene alle collezioni del palazzo il grande bureau à cylindre anch’esso risalente al XVIII secolo.

CAMERA D’UDIENZA DEL DUCA (poi Salone rosso)

Le fotografie storiche attestano la trasformazione di questa sala avvenuta nell’Ottocento, quando essa fu tappezzata in rosso e arredata con mobili oggi in parte conservati nell’adiacente camera di parata (salone di San Giovanni). Della fase settecentesca restano gli stucchi della volta, i “lambriggi”, le grandi specchiere con intagli rocaille, le mostre di porta e le sovrapporte di Mattia Franceschini raffiguranti Storie di Enea e Didone (1758), restaurati dal Centro di Conservazione e Restauro ‘La Venaria Reale’ nel 2020-2021. Le consoles e le poltrone sono settecentesche (i tessuti sono però di sostituzione). La stoffa verde che attualmente riveste le pareti è stata posata nel corso di un riallestimento successivo al passaggio del palazzo alla Soprintendenza. Sono stati collocati qui due busti di gesso raffiguranti Carlo Felice e la moglie, Maria Cristina di Borbone-Napoli.

SALA DEGLI ARAZZI (già Camera d’udienza della duchessa, poi Sala da ballo)

L’ambiente, già parte dell’appartamento della duchessa nel Settecento, è poi utilizzato nell’Ottocento come sala da ballo: il suo sontuoso aspetto settecentesco è stato recuperato in seguito ai recenti restauri (2007). Gli eleganti stucchi dorati di Sanbartolomeo e Papa incorniciano medaglioni raffiguranti i miti di Apollo e Dafne e di Diana con la ninfa Procri, narrati nelle Metamorfosi di Ovidio.Nel 1763 il napoletano Francesco de Mura consegnava le sovrapporte raffiguranti le allegorie delle Quattro parti del mondo (l’Europa con i simboli della regalità, del papato e delle arti; l’Africa nera con il leone e l’elefante; l’Asia con l’incenso e il cammello; l’America come “indiana” con i pappagalli). Gli arazzi in lana e seta con filati metallici d’oro e d’argento furono tessuti intorno al 1615 da Philippe Maecht, su cartoni dei pittori Antoine Caron e Henry Lerambert, nella manifattura del Fauborg Saint-Marcel a Parigi. Il principe Vittorio Amedeo di Savoia li acquistò nel 1619 tramite il proprio ambasciatore a Parigi e gli arazzi giunsero a Torino nel 1621. Carlo Emanuele III li fece raccomodare a partire dal 1758 per collocarli in questa sala del “secondo appartamento” del duca del Chiablese. Altri pezzi della serie si trovano a Palazzo Reale; altri ancora furono dispersi e appartengono oggi a diverse collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero, dal castello di Blois al Timken Museum di San Diego, in California. Dei panni qui esposti, solo Gli araldi a cavallo Le richieste del popolo sono integri; gli altri furono tagliati per adattarli agli spazi disponibili sulle pareti; un’entre-fenêtre (arazzo alto e stretto previsto per lo spazio tra due finestre) appartiene al ciclo originale, mentre un’altra (il Filosofo) fu tessuta appositamente per questa sala nel 1766 dalla manifattura torinese.I candelabri con amorini in bronzo dorato risalgono al riallestimento come sala da ballo alla metà dell’Ottocento: a questo stesso momento risalgono le fastose poltrone neobarocche, documentate però dalle fotografie d’inizio Novecento, in un’altra sala.

CAMERA DI PARATA DELLA DUCHESSA (Sala da pranzo)

Fin dal Settecento questo ambiente dava accesso all’appartamento della duchessa; nell’Ottocento fu adibito a sala da pranzo. L’appartamento fu concepito dopo il 1760, in un momento in cui Carlo Emanuele III tentava di combinare il matrimonio del suo ultimogenito Benedetto Maurizio con la figlia dell’imperatore Francesco I, Maria Cristina d’Asburgo-Lorena. Dopo la morte dell’imperatore (1765) il progetto fallì e gli ambienti sono allora destinati a Maria Anna di Savoia che sposa il duca del Chiablese nel 1775. La volta, su disegno di Alfieri, è decorata con stucchi dorati di Giovanni Battista Sanbartolomeo e Bartolomeo Papa, attivi anche nella palazzina di caccia di Stupinigi; essa è stata ampiamente ricostruita dopo il bombardamento che colpì gravemente questa parte del palazzo nel 1943. Quattro delle sei sovrapporte, raffiguranti allegorie della Pace, della Guerra, dell’Estate e dell’Autunno furono eseguite nel 1766 dal romano Gregorio Guglielmi, che lavorò a Torino al rientro in Italia dopo anni di attività tra Dresda, Vienna e Berlino. A Vienna, Guglielmi aveva dipinto la volta della grande galleria del castello di Schönbrunn. Il camino fu modificato nell’Ottocento in modo da renderlo utilizzabile, a seconda delle esigenze, per questa sala o per l’adiacente Sala degli arazzi; la mostra in ghisa può infatti ruotare su sé stessa per consentire di sfruttare la stessa canna fumaria dai due lati. Sono collocate qui quattro poltrone settecentesche, provenienti dai depositi.

ALCOVA

L’ambiente faceva parte dell’Appartamento della Duchessa realizzato su progetto di Benedetto Alfieri tra il 1760 e il 1762 e si incontrava, nella successione delle sale, dopo aver attraversato la Camera del letto della Duchessa (già Sala di Ricevimento, poi Salone Rosso), il Gabinetto alla raffaellesca, il Gabinetto del Piccolo Ricevimento (poi Salotto di Parigi), la Cappella e un altro piccolo gabinetto dove si trovava in origine il mobile libreria di Piffetti. Tutti questi ambienti furono distrutti durante i bombardamenti del 1943 e ricostruiti nel dopoguerra riproponendo in stucco bianco le perdute decorazioni settecentesche dorate della volta.

Nel Settecento la sala era denominata “Galleria” e costituiva un ambiente aulico, ma privato, destinato ai momenti di riposo e al gioco. La volta, su disegno di Benedetto Alfieri, è ornata dagli stucchi dorati di Antonio Papa. Le sovrapporte erano opera di Michele Antonio Rapous e raffiguravano trionfi di fiori. Smontate nel 1943, sono andate disperse e oggi sono sostituite da panelli in specchio. Allo stesso artista sono da riferire le raffinate decorazioni floreali del lambriggio.

Nel 1850, in previsione del matrimonio di Ferdinando I duca di Genova con la principessa tedesca Elisabetta di Sassonia celebrato il 22 aprile 1850, l’ambiente è stato profondamente modificato. Il progetto è del lombardo Alfonso Dupuy, nominato nel 1836 architetto e segretario della regina. La Galleria assume la funzione di alcova e viene ingrandita con l’apertura di uno spazio riservato al letto sulla parete nord, sacrificando locali adibiti a magazzini. Un grande arco intagliato dorato, con stemma della famiglia Savoia e Sassonia, ornava l’accesso all’andito dedicato al letto, dotato di baldacchino e ampi tendaggi. Qui nacque il 20 novembre 1851 la primogenita Margherita di Savoia, futura regina d’Italia. Al centro della parete a levante verso la piazza fu inserito il grande camino in marmo bianco di Roccacorba. Al di sopra del camino, la finestra centrale ha il rovescio degli scuri a specchio, apparato predisposto dall’intagliatore Gabriele Capello per dotare la stanza di una grande specchiera centrale, ma al tempo stesso consentire alla duchessa di godere, a imposte aperte, della veduta sulla piazza. Con Capello lavorano al progetto di rinnovo dell’appartamento l’ebanista Pietro Bertinetti, il tappezziere Lorenzo Morlach, i pittori Paolo e Rodolfo Morgari, Angelo Moja. Nuovi mobili per la sala vengono comprati a Parigi.

La zona dell’alcova vera e propria fu colpita duramente dalle bombe del 1943 e l’arcone intagliato andò completamente perduto. La sala è stata restaurata nel 2019 – 2021 dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”. La tappezzeria è stata ritessuta sul modello di quella ottocentesca con la corona ducale dei Savoia-Genova e il nœud d’amour. Oggi nella sala ammiriamo, inserito in una delle quattro “pilastrate” a specchio angolari settecentesche, il doppio corpo di Pietro Piffetti con intarsi in avorio e madreperla, e applicazioni in bronzo dorato, documentato al 1767 – 1768 per il secondo appartamento del Duca del Chiablese e trasferito nella sala durante la seconda metà dell’Ottocento. Rimosso nel 1943 per salvarlo dai bombardamenti, restò nelle mani dei Duchi di Genova. Esportato illegalmente, nel 2018 è stato recuperato dai carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale e consegnato alla Soprintendenza. La dormeuse settecentesca richiama l’idea di riposo cui era adibita la sala: su arredi di questo tipo le signore potevano distendersi e riposarsi durante la giornata.

 

Ultima sala restaurata

CAMERA DI PARATA DEL DUCA (Salone di San Giovanni)

Nel Settecento la sala costituiva il primo ambiente dell’appartamento del duca del Chiablese: a questa fase (1758) risalgono le sovrapporte del torinese Mattia Franceschini, raffiguranti allegorie delle Virtù. Allievo di Beaumont, Franceschini lavorò anche per la Reggia di Venaria; eseguì cartoni per arazzi e fu scenografo per il teatro Regio. I mobili, in stile neobarocco e databili intorno alla metà dell’Ottocento, fanno parte dell’arredo originario del palazzo, ma prima della fine della monarchia si trovavano nella successiva Camera d’udienza (poi Salone rosso). Il Ritratto della regina Margherita di Savoia è firmato e datato 1890 dal pittore savonese Cesare Tallone, che lo eseguì a Roma. Margherita, figlia di Ferdinando di Savoia-Genova, nacque in questo palazzo nel 1851 e divenne nel 1878 la prima regina di Italia.

SALA DEI PAGGI (Terza anticamera)

La “Camera dei paggi” – terza anticamera della residenza dei duchi del Chiablese nel XVIII secolo – era utilizzata come sala di ricevimento al tempo dei duchi di Genova: essa conserva l’aspetto settecentesco nelle mostre di porte che racchiudono sovrapporte con prospettive, ovvero paesaggi di fantasia con rovine. Le tele, come il paracamino, furono eseguite nel 1758 dal pittore emiliano Giovanni Battista Alberoni, allievo dello scenografo Ferdinando Galli Bibbiena. Alberoni fu a lungo attivo a Torino, dove prese parte alla decorazione della palazzina di caccia di Stupinigi.

L’attuale arredo della sala è frutto di interventi successivi al passaggio di palazzo Chiablese alla Soprintendenza. Sono stati ultimamente collocati qui due importanti dipinti: una bella veduta del porto di Villafranca Marittima, opera di un paesaggista ignoto attivo negli anni a cavallo fra Sette e Ottocento e la grandiosa tela di Ippolito Caffi raffigurante l’Ingresso di Vittorio Emanuele II nella Reggia di Napoli; nell’opera, proveniente da palazzo Reale, si fonde l’attenta cronaca dei fasti risorgimentali di casa Savoia con la precisione vedutistica del pittore veneziano, erede e continuatore della tradizione settecentesca.

ANDITO

Sulle pareti sono collocati la tela raffigurante la Morte di Pia de’ Tolomei di Felice Barucco, pittore torinese che frequentò l’Accademia Albertina nella seconda metà dell’Ottocento e un ritratto di scuola francese, raffigurante forse Isabella di Borbone-Parma. La commode intarsiata nello stile di Maggiolini, il mobiletto e le poltrone datano all’ultimo quarto del Settecento.

Attenzione: essendo in corso il restauro delle sale alcune opere descritte nelle sale sono state spostate.

Visualizzazione Salone degli Arazzi 360°

per visualizzare il salone degli arazzi nelle foto a 360° cortesemente realizzate dal fotografo Antonino Del Popolo (https://www.antoninodelpopolo.it/) cliccate sulleimmagini sottostanti e verrete reindirizzati al suo sito dove potrete immergervi nel salone al massimo della definizione possibile

Salone arazzi1
Salone arazzi2